La mano tiene su la coperta. È una mano ossuta, lunga, un po’ grande per il corpo, piuttosto magro, rannicchiato sul letto. Lo sguardo rabbuiato si illumina quando entriamo: è la prima volta che mi vede e mi dice subito che sono bella. Sorrido e sminuisco con ovvio imbarazzo. Anche lei è bella. Ha il volto cesellato con la perfezione di un diamante, grandi occhi di un castano dorato dal taglio allungato che risaltano sugli zigomi e un disegno di labbra tracciato con maestria dalla natura stessa. Si mette a sedere, ma il corpo, ritirato in sé, tradisce la presenza del dolore. È contenta che siamo andati a trovarla e posa su di lui uno sguardo amorevole e orgoglioso. Esprime chiaramente la sua approvazione per le sue scelte, e lui mi stringe a sé con tenerezza. Mi sento rassicurata. Non è facile essere lì. Lei inizia a parlare di lui, a commentare il suo comportamento, i suoi atteggiamenti. Ad un certo punto scopro che le sto prestando ascolto non soltanto per cortesia: la seguo nel linguaggio forbito, nella precisione dei vocaboli, nella capacità di ritrarre le persone con poche pennellate che ne delineano le caratteristiche salienti. Le sue parole mi hanno catturato e davanti ai miei occhi si svolgono le scene che descrive con accattivante abilità narrativa. E mi sto divertendo. So molte cose di lei, del suo dolore presente e di una vita segnata da tempi lontani, di incomprensioni vomitate fuori di sé e rifluite nella piega amara delle labbra, ma ora sono davanti a una donna che narra, una donna che ricrea il suo vissuto e crea per me nuovi scenari. Fino allo scorso anno ha creato oggetti di pregio con l’abilità di quelle mani ossute e un po’ grandi su cui ora è intento il mio sguardo.
C’è sempre una quarta dimensione, è quella che si guadagna cambiando punto di vista, disponendosi all’ascolto, al dialogo, de-centrandosi e accettando l’avventura della de-stabilizzazione. Accedervi significa valicare frontiere e attraversare nuovi territori con mente, cuore ed esperienza. In questo blog si parla di poesia, letteratura, filosofia, arte: tutte le forme in cui l’essere umano esprime la capacità di simboleggiare l’esperienza, crearla e darle ulteriori significati.
giovedì 21 novembre 2013
Incontri
La tela di Aracne.
La mano tiene su la coperta. È una mano ossuta, lunga, un po’ grande per il corpo, piuttosto magro, rannicchiato sul letto. Lo sguardo rabbuiato si illumina quando entriamo: è la prima volta che mi vede e mi dice subito che sono bella. Sorrido e sminuisco con ovvio imbarazzo. Anche lei è bella. Ha il volto cesellato con la perfezione di un diamante, grandi occhi di un castano dorato dal taglio allungato che risaltano sugli zigomi e un disegno di labbra tracciato con maestria dalla natura stessa. Si mette a sedere, ma il corpo, ritirato in sé, tradisce la presenza del dolore. È contenta che siamo andati a trovarla e posa su di lui uno sguardo amorevole e orgoglioso. Esprime chiaramente la sua approvazione per le sue scelte, e lui mi stringe a sé con tenerezza. Mi sento rassicurata. Non è facile essere lì. Lei inizia a parlare di lui, a commentare il suo comportamento, i suoi atteggiamenti. Ad un certo punto scopro che le sto prestando ascolto non soltanto per cortesia: la seguo nel linguaggio forbito, nella precisione dei vocaboli, nella capacità di ritrarre le persone con poche pennellate che ne delineano le caratteristiche salienti. Le sue parole mi hanno catturato e davanti ai miei occhi si svolgono le scene che descrive con accattivante abilità narrativa. E mi sto divertendo. So molte cose di lei, del suo dolore presente e di una vita segnata da tempi lontani, di incomprensioni vomitate fuori di sé e rifluite nella piega amara delle labbra, ma ora sono davanti a una donna che narra, una donna che ricrea il suo vissuto e crea per me nuovi scenari. Fino allo scorso anno ha creato oggetti di pregio con l’abilità di quelle mani ossute e un po’ grandi su cui ora è intento il mio sguardo.
Artemisia Gentileschi - Autoritratto come Allegoria della Pittura
La mano tiene su la coperta. È una mano ossuta, lunga, un po’ grande per il corpo, piuttosto magro, rannicchiato sul letto. Lo sguardo rabbuiato si illumina quando entriamo: è la prima volta che mi vede e mi dice subito che sono bella. Sorrido e sminuisco con ovvio imbarazzo. Anche lei è bella. Ha il volto cesellato con la perfezione di un diamante, grandi occhi di un castano dorato dal taglio allungato che risaltano sugli zigomi e un disegno di labbra tracciato con maestria dalla natura stessa. Si mette a sedere, ma il corpo, ritirato in sé, tradisce la presenza del dolore. È contenta che siamo andati a trovarla e posa su di lui uno sguardo amorevole e orgoglioso. Esprime chiaramente la sua approvazione per le sue scelte, e lui mi stringe a sé con tenerezza. Mi sento rassicurata. Non è facile essere lì. Lei inizia a parlare di lui, a commentare il suo comportamento, i suoi atteggiamenti. Ad un certo punto scopro che le sto prestando ascolto non soltanto per cortesia: la seguo nel linguaggio forbito, nella precisione dei vocaboli, nella capacità di ritrarre le persone con poche pennellate che ne delineano le caratteristiche salienti. Le sue parole mi hanno catturato e davanti ai miei occhi si svolgono le scene che descrive con accattivante abilità narrativa. E mi sto divertendo. So molte cose di lei, del suo dolore presente e di una vita segnata da tempi lontani, di incomprensioni vomitate fuori di sé e rifluite nella piega amara delle labbra, ma ora sono davanti a una donna che narra, una donna che ricrea il suo vissuto e crea per me nuovi scenari. Fino allo scorso anno ha creato oggetti di pregio con l’abilità di quelle mani ossute e un po’ grandi su cui ora è intento il mio sguardo.
giovedì 14 novembre 2013
Distacco
Un giorno d'inverno dello scorso anno ho riversato nel mare al tramonto lo struggimento per ciò che era stato un tempo: io non volevo ricordare nulla, solo ancorarmi alla malinconia ripetuta del distacco...
I giorni uggiosi di novembre rievocano la presenza e la necessità del distacco, per me moto essenziale della poesia che conversa in dialogo profondo con l'intimità dell'immedesimazione...
Tramonto d'inverno sul lungomare di Terracina
Cosa sto
cercando,
così,
ancorata al distacco?
Guardo,
oltre la balaustra,
l’orizzonte
che si compie da solo
nell’umida
sera recando echi di schiume
lontane,
veli di pensieri che si levano
ed
annebbiano le parole che lente,
incuranti,
rispondono:
“Va bene,
fermiamoci qui.”
Ci sediamo,
ma l’anima è rimasta in piedi
e abita
nell’assenza.
Terracina,
26 dicembre 2012
domenica 10 novembre 2013
Novembre
Minute sui vetri le gocce di
pioggia
ammaliano a nebbie indistinte
che allacciano al cuore
i tuoi occhi e i tuoi passi.
E l’anima si profonde alla distanza.
Tenacia di fili d’erba
tra interstizi di mura,
che reggono peso rotondo
di pioggia.
immagine dal web
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