Distrazioni. Lettura di Maria Lenti

 Distrazione come svagamento, come disattenzione, come precipitato nell’intimo dall’altro, dal simile, dalla vita, sempre dis-tratta, tirata in qua e in là in sé e da sé stessa.

Un intruso, l’abbandono o la perdita, si insinua tra le costole, nel corpo. Bisogna farlo proprio, sentirlo in tutte le sue dinamiche, farne tesoro (e sembra un’assurdità) per attraversarlo e quindi espellerlo. Che la strada del cammino torni bianca per la «bambina distratta». Tornerà bianca la strada dopo la distrazione?

«Credo che se anche in spirito tornassi
o non te ne fossi andato e fossi qui
io non saprei ugualmente cosa dirti
o cosa vorrei sentirmi dire
mi strugge il desiderio di una nostalgia
un desiderio di trovare sguardi
cogliere il segno di un mutuo perdono
ma lo stato irreversibile tra noi
era una storia di tanto tempo fa
e la sola lingua che ci lega sono fotogrammi
in bianco e nero erano
poche parole dette
e che sia inverno.» (“La lingua che ci lega”)

Nelle diverse parti e poesie, con varianti e inserimenti di occasioni e sobbalzi, con un ritorno di echi memoriali aggettati sull’oggi, Cristina Polli in questo suo recente libro (Distrazioni, 2021) sfina la sensazione di un non più portandola a paradigma di consapevolezza, tendendola per «ricomporre il silenzio». E, tuttavia, prima un’eclissi:

Chiedo in prestito una veste
da indossare come un gioco sconosciuto
per non essere io per un istante.
Chiedo di dimenticare il gesto appreso
di sorprendermi quando alzo lo sguardo
trasalire e perdere la presa della cima
tra la mano e l’oggetto
la distanza.» (“Chiedo in prestito”).

Il tono colloquiale, rivolto anche all’esterno del sé verso gli elementi naturali, soggettivi ripari mai in controcanto, rilascia una poesia dell’incontro meditativo... 

La lettura continua su Literary n.3/2022

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