Porta

 La mia non è poesia, di Floriana Porta, Aljon editrice 2017. Lettura di Cristina Polli.

 

Iniziando la lettura della raccolta “La mia non è poesia” di Floriana Porta, non ho potuto fare a meno di chiedermi, per converso all’enunciazione del titolo, cosa sia la poesia. Domanda alla quale è impossibile rispondere in maniera esaustiva, impossibilità connaturata all’oggetto stesso dell’interrogazione; domanda feconda e fondante alla quale ci accostiamo in atteggiamento di accoglienza e ricerca, etica operosa del bello e del vero, sottrazione dal frastuono, autenticità. Dico subito che ciò che segue si concentra sulla lettura dei testi poetici e lascia l’analisi degli haiku presenti in una seconda sezione del volume a chi ne ha maggior competenza.

Forse proprio a causa dell’apertura che il titolo stesso mostra generando nel lettore una enucleazione negativa delle declinazioni della poesia, è la poesia stessa ad essere la protagonista di questa raccolta:  chiamata sulla scena del sentire e del dire, si fa intelligenza armonica e profonda rispecchiata tra cosmo e interiorità.

Realtà del pensiero e dell’azione umana che trascende ogni definizione, mondo a margine o essenza, seme in cui germina il vero, ma anche ferita, crepa da cui filtrano i fluidi materici della conoscenza sensibile , le luci che riverberano le visioni; incontro a lato con un tempo eternamente presente, eternamente discosto, suono del cosmo e sillabazione mantrica nel riconoscimento di una purezza che si svela e ci tocca con la rivelazione dell’intangibile: la poesia di Floriana Porta è spazio e tempo, anima e abisso, ascolto e conoscenza, gesto e cura.  

Tutto questo, ma anche ciò che vive dentro e attraverso il corpo del poeta è l’essenza di questa silloge. Il corpo della poetessa si fa mediazione di voce, mani e sguardo, custodia di un groviglio  rarefatto di parola- luce, percezione estesa ed empatica del vissuto interiore e comune a ognuno di noi. La poesia si fa vera e incarnata in un processo osmotico che avviene in gestazione, accoglienza e custodia che preludono a un’azione forte e irreversibile come la nascita: “imprimere i miei versi sulla carta” è l’intenzione dichiarata nella poesia eponima posta a inizio della raccolta (p. 8).

È una poesia che traspare profondamente e dichiaratamente femminile, esplicita nei temi della custodia, della cura, rimanda all’esperire sacro e raccolto per il quale la poetessa perviene “dal silenzio alla parola” in una immersione ritmica connaturata al suo essere, immersione in cui “… si condensa la musicalità/ più nascosta e sfuggente/ di ogni fibra del mio corpo” (p. 16). 

La cura di cui la poetessa si fa carico travalica la prossimità immediata dell’interlocutore: sia  esso persona, carta su cui “imprimere” il verso, o su cui tracciare “uno schizzo frettoloso”, luogo reale reso nello sguardo e nel gesto dell’artista (e Floriana Porta si traduce nella parola poetica anche come artista figurativa e plastica), la  poesia riceve e restituisce il senso dell’esperienza umana,  è comprensione muta e accogliente che abita “ogni piaga/ che tace” (p. 29):

 

La ferita che portiamo

 

abito ogni carne

ogni fiato

e ogni piaga

che tace

 

abito ogni poesia

nel suo farsi

 

ciò che ci rende umani

è la ferita che portiamo

 

L’io poetico abita tutto ciò che è sommesso e silenzioso, ciò che si nasconde allo sguardo per il pudore della sofferenza e della corruttibilità, ma anche ciò che si tace, l’alito qui, altrove il respiro, per intuizione della potenza vivificatrice, della sua sacralità. 

Il silenzio è l’altro cardine di questa silloge, un silenzio che parla e rivela allo stesso modo in cui il tacere è una declinazione del dire, richiama l’introspezione e la purezza della creazione: “è virginale il segreto/ di ogni poesia/ parola femminea/ stretta nei versi (p. 10). Il silenzio appare, è una manifestazione quasi materica, è l’alba, la nebbia, la strada sterrata, il bianco della carta, la neve nelle mani (p. 27):

 

Un lungo inverno

 

un non-sguardo

mescola il suo vedere

a strappare dall’oblio e dal nero

il proprio vissuto

 

sensi e carne raggelati

nel disordine del loro grafismo

lembi di un tempo lontano

ognuno nel proprio alfabeto

che sembra non avere mai fine

 

una pagina bianca

intorno al corpo

e al centro del foglio

uno schizzo frettoloso

di mani colme di neve

 

quel nascere insieme

di fogli di carta sparsi

segnerà l’inizio

di un lungo inverno

 

Il silenzio agito è il tacere. Tacere è qui la scelta di collocarsi a lato dell’evento- parola di accompagnarne il fluire decentrandosi, smettere il frastuono delle voci e dei rumori per percepire “una cartografia che diventa silenzio” (p. 26) La parola poetica si plasma nel sospiro, atto del dire in cui coagulano la parola, l’alito e il silenzio, pronuncia sommessa nel fiato in cui la parola si crea, atto del dono porto a chi attende di poter guardare lontano, “il sospiro del poeta rivela la realtà” (p. 25). La poetessa si immerge nel liquido amniotico dell’ascolto, nel luogo che genera percezione, comprensione,  appartenenza; esperisce lo stato che le consente di accogliere la visione cosmica, l’eterno presente al di là della comune e quotidiana percezione, origine del mondo universo e della poesia in un luogo di non ricordo, dove svanire ed essere coincidono (p. 26):

 

Tra cielo e abisso

 

un’isola fra le altre

una cartografia che diventa silenzio

in un grande arcipelago

 

un sillabare immutabile

che digrada a poco a poco

al suono di un controcanto

 

tra apparire e sparire

tra cielo ed abisso

in bilico sul firmamento

 

una luce sacra

che ripercorre i cieli

e che ci parla di poesia

 

una terra viva solo nel ricordo

che ha inizio nella sabbia

e in nessun cammino

Cristina Polli

 Precedentemente pubblicato su Poetarum Silva: 

https://poetarumsilva.com/2020/04/22/floriana-porta-la-mia-non-e-poesia/comment-page-1/

 

 

 

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