La luce e l’acqua, sguardo e parola di Floriana Porta nelle poesie e nelle riflessioni della Mostra artistica e poetica L’eternità della bellezza. Una lettura di Cristina Polli.

 

Floriana Porta vive d’arte, in essa si immerge e ne assorbe il vigore espressivo fino a cesellarne grazia nella sinestesia di pietra e respiro: Ha mani leggere/ questo sogno di marmo/ che stride nell’oscuro/ - sempre più a fondo nell’io-/ e danza dentro il respiro del tempo/ e dellinenarrabile. (Sogno di marmo); il lavoro avviene per sottrazione con un senso di religiosa devozione ai valori umani e spirituali che sa vedere e che ci restituisce nella sua opera.

Il contrasto tra la luce e l’ombra anima la mostra, L’eternità della bellezza (Confraternita dei Batù, Villanova d’Asti, 1, 2 e 3 settembre 2023), che traduce in china e acquerello la plasticità profonda e drammatica delle grandi opere scultoree dell’antichità greca e romana e di maestri insigni quali Michelangelo, Bernini, Canova, Schaper. Il fulcro dell’itinerario creativo che sfocia nelle opere di questa esposizione risiede in una ricerca fondante nella poetica di Floriana Porta. L’artista vive immersa nell’arte, l’avverte con piena partecipazione in una continua richiesta di purificazione di mezzi e sguardo.

È di questa richiesta che si fa testimone la poesia, di carattere prevalentemente riflessivo e ecfrastico,  che Floriana Porta espone nella medesima mostra insieme alle sue opere figurative. Si tratta di un itinerario dialogico in cui interloquiscono il linguaggio della poesia e quello della mediazione figurativa meditata e agita sulle opere scultoree: un dialogo che porta all’emersione il confronto tra la durata e l’attimo, la contesa tra la luce e l’ombra, dove l’artista rivela l’intimo timore di usare la luce come arma nella complessa indagine della forma facendoci testimoni di  devozione e passione che la rendono persona al cospetto dell’eterna bellezza. La luce è prima di tutto purificazione, tensione all’assoluto metaforicamente resa nei versi de Il silenzio dei marmi:

si spoglia

di qualsiasi colore

il silenzio dei marmi

e avanza cercando

l’incandescenza

della luce,

l’unica acqua

che sa dissetarmi.

La luce è l’elemento incandescente che richiama l’umana impossibilità di comprendere il divino, il rischio di incendiare sguardo e comprensione. L’arte di Floriana Porta si affida perciò all’acqua, informe e trasparente come la luce, ma a sua differenza fluida e capace di incontro con la materia del colore, con la mano e la visione, viatico della possibilità di rinascita e svelamento dell’essenza che non sta nella scultura, né nel suo luogo, ma nel farsi luogo nell’artista e quindi in noi. A questo proposito riporto alcuni versi della poesia Creatura di luce dedicata alla celeberrima Santa Teresa del Bernini: La penso, la plasmo/ e la regalo all’acqua,/ insieme alla sua lunga tunica/ al dardo dorato dell’angelo […] E trova la sua acme/ proprio qui, lei, creatura di luce,/ in un coagulo di colori/ e di immaginazione. Sempre del potere vivificante dell’acqua leggiamo in Rocce scabre, poesia in cui la traccia fossile sedimentata in antiche pergamene si rinnova al contatto con l’alchimia del pennello che traccia il segno dell’inafferrabile:

Conficco nell’alveo dell’alba

rocce scabre,

magnificamente nude

e inafferrabili.

Le adagio su antiche pergamene

di conchiglie e coralli,

a filo di luce con il fuoco.

Ma emulsionandosi con l’acqua

torneranno a respirare.

A differenza dei colori, che nella poetica di Floriana Porta, al contempo artista visiva e poetessa, si configurano come enti con una intrinseca, irriducibile distinzione, scultura e poesia si rivelano come elementi dinamici: registrazione perenne del lavorio indefesso che la vera arte esige, tormento di ricerca, coagulo di visione interiore e concretizzazione plastica e sonora che reca il percorso del pensiero, lo struggimento della resa, opera di cuore, mano e sguardo che si offre ad altri cuori, altri sguardi, altre mani per rivelare una comune appartenenza: l’alchimia di impronte/ di antichi scalpelli,/ in un perpetuo regime/ di sottrazione/ il ritirarsi, il fuggire/e dell’immobilità (Il linguaggio della scultura). È attraverso una profonda e costante capacità di ascolto, mediante la dedizione dello sguardo che l’artista giunge per via di contemplazione a cogliere con maestria la presenza della perdurante umanità e dell’eterna divina bellezza nell’opera d’arte:

Tra le sue sillabe,

vagabonde e stremate,

l’anima rischia di perdersi

in un vero labirinto

di polvere, ombre e occhi

(Marmo)                                                                                                                      

 

 

Cristina Polli

 

 

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