Cristina Polli, Tutto e ogni singola cosa,
Prefazione di Anna Maria Curci - Postfazione di Marco Onofrio, Roma, Edilet,
2017, pp. 68, € 10.00
Il titolo annuncia
limpido il corpo delle poesie di questa raccolta di Cristina Polli. La totalità
attraverso le singole cose.
Le singole cose, nel
giorno pieno da camminare o camminato, attingono ad un intorno non sempre
rispondente a (o in parallelo con) un’interiorità di spessore. Possono situarsi
e possono essere individuate nella luce sul volto di un bambino, nella nebbia
ed altri elementi naturali avvolgenti ma non ostacolanti l’andare, nelle parole
di cuore e di coraggio, nelle stelle da rivedere; o possono essere tratte
dagli occhi verde bosco del padre, dal riserbo sull’origine delle
lacrime, dall’onda circolare. E da altro di un medesimo
tenore: i gesti, in definitiva, di un vivere che contempli “anche” il
respiro profondo perché qualche cosa, del tanto impegnato e messo sul terreno
quotidiano, resti a vivificare il giorno dato a prescindere e a riempire questo
giorno ancorandolo agli intenti. («Vorrei abitare la parola /
riposta tra il sonno e la veglia. / Vorrei che un tremore verde-oro / rimasse
con tratti di strada / immaginati all’alba. / Vorrei intrecciare / volti rapiti
d’incontri / al dileguarsi dei crepuscoli / confini di chiarori e notti
oscure.», “Vorrei abitare la parola”, p. 24).
Uno specchio – dentro/fuori – dalla molatura fine nel quale le parole si posano non
in opposizione quanto, invece, in concordia, modalità forse scelta, nella fluenza del pensiero poetico
riscontrabile in Tutto e ogni singola cosa, per la necessità di
chiarezza operata dalla poeta verso chi legge. (Magari per un dialogo possibile
con i suoi piccoli lettori-alunni della scuola primaria in cui insegna?).
Non si equivochi: la poesia di Cristina Polli non è
affermativa di un bene o di un male in modo categorico. (E non la respingerei,
in ogni caso, cresciuta come sono da ragazza sui versi, per esempio, di Montale
tesi a dire il male a paradigma dell’esistenza, il bene irraggiungibile, il
giardino di limoni come rovescio dell’Infinito leopardiano).
La poesia di Cristina Polli, infatti, si forma
sull’evidenza di un esserci mai sganciato da sé, mai galleggiante
nell’indistinto del non esserci, fondandosi sul desiderio di raggiungere ciò
che non è (come in “Dirti essere”: «(…) Apprenda a dirti Essere
/ il padre e la madre / il fratello, l’amante, il giudice. / Apprendi a dirti
Essere tu stessa.», p. 32) e sull’apertura a
godere del dono di ciò che è: «(…) non ti saprei Amore se non
prendessi / tutto e ogni singola cosa di te» (“Tutto e ogni singola cosa”,
p. 53). Chiede troppo o l’improbabile? Chiede. E tanto basta a che viva.
Maria
Lenti
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