domenica 4 marzo 2018

Una lettura: Volevo tacere di Sándor Márai, Adelphi 2017, traduzione di Laura Sgarioto


Ho concluso oggi la lettura di Volevo tacere di Sándor Márai, (Adelphi 2017, traduzione di Laura Sgarioto), diario e affresco della vita ungherese nel decennio che precede e che segue il giorno dell’ingresso di Hitler a Vienna. Márai scrive in maniera manifesta dal punto di vista della classe a cui si onora di appartenere, la borghesia colta e illuminata preparata a fare da battistrada all’emancipazione da anacronistiche forme feudali e a cogliere, come emerge nei ritratti di alcuni suoi rappresentanti, i segni inquietanti dei tempi narrati. È proprio l’inquietudine che serpeggia tra le pagine il filo conduttore che si dispiega nello svolgersi delle vicende, l’ombra che dà risalto a tutta la narrazione, che accompagna la sofferenza del ritorno agognato e doloroso  nella città natale irriconoscibilmente consegnata al nazismo; l’ombra e che si fa da parte, ma non si allontana nella resa dei lineamenti biografici e politici di István Bethlen. Il pensiero è andato al protagonista di Le braci, alle descrizioni agghiaccianti del corso del Danubio nelle pagine de La donna giusta,  ai cambiamenti di cui sono testimoni i protagonisti degli altri romanzi letti. La speranza è sempre nella lettura accorta di pagine che tengono a bada il tragico nella compostezza della forma, capacità a cui ci dobbiamo rieducare: la lettura accorta come esercizio di superamento della superficialità imperante;  la compostezza della forma come scelta che consente il distacco necessario a rielaborare la passione, cogliere i segni degli eventi ed esercitare l’intelligenza del dialogo e del decentramento.

Di Volevo tacere parla anche Maurizio Ceccarani nel suo blog il gufo ignorante.







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