giovedì 17 maggio 2018

Considerazioni sulla parola "femminicidio".

Qualche giorno fa è comparso un post su facebook a proposito di un manifesto che si può vedere in alcune vie di Roma. Sul manifesto si vede la foto della pancia di una donna incinta e una scritta che riporto testualmente: "L'aborto è la prima causa di femminicidio nel mondo". 
In questa scritta compare la parola “femminicidio” usata in maniera impropria, indegna e pericolosa.  Femminicidio è un termine con un significato preciso, codificato, che possiamo trovare nel Devoto- Oli (2013): "Qualsiasi forma di violenza esercitata sistematicamente sulle donne in nome di una sovrastruttura ideologica di matrice patriarcale, allo scopo di perpetuare la subordinazione e di annientare l'identità attraverso l'assoggettamento fisico o psicologico, fino alla schiavitù o alla morte".
La nostra cultura è costellata di esempi di violenza di genere. Ognuno di noi conoscerà degli esempi, in letteratura, nelle arti visive, nella società. Forse è il momento di cominciare a diventare consapevoli. Come dico spesso, quella della violenza sulle donne è una realtà pervasiva e capillare e questo manifesto lo dimostra.
La parola "femminicidio" ha un campo semantico ben definito, cioè quando ne parliamo ci vengono in mente determinate cose ad esempio: violenza domestica, violenza di genere, violenza psicologica, sopraffazione, tortura, stupri di guerra. 
Una scritta come quella del manifesto pretende di estendere il campo semantico della parola femminicidio al campo semantico della parola aborto. Ci possono essere vari motivi e situazioni per cui una donna arriva all'aborto e può anche darsi che sia costretta ad arrivarci e che sia praticato in condizioni estreme per cui muoia, ma non si può, non si deve in alcun modo dire che l'aborto sia la prima causa di femminicidio.
Chi vuole compiere un femminicidio, non pratica un aborto, sventra; non uccide la donna attraverso questa pratica, la uccide e basta. E nel caso che l'aborto sia praticato come forma di violenza, la causa del femminicidio non è l'aborto, ma la violenza da cui hanno origine sia la gravidanza indesiderata che l’eventuale costrizione a praticare l’aborto.
Se il manifesto intende dire che le statistiche indicano che tra le cause di morti femminili  l’aborto, nel posto x e nel tempo x, è quella che registra la percentuale maggiore, lo deve fare onestamente, parlando di decessi per aborto e non di femminicidio.
Questo post compie un'azione pericolosissima: mette in ombra il fenomeno della violenza di genere.
E se dovessimo riuscire a trarre una domanda dal modo in cui è posta la questione, quale sarebbe?
È difficile porsi domande, è molto più facile dare una risposta sollecitati da quello che si legge, per alcuni sarà il consenso, per altri il dissenso. Ma ora non mi interessa questo, mi interessano le domande.
La prima che mi viene in mente, stando a quello che leggo, è “Di chi è la colpa di questi femminicidi?”
La risposta, quale che sia, è la scoperta del carattere manipolatorio di un post del genere.
Se poi ci chiediamo perché è stato usato il termine “femminicidio”, la violenza commessa attraverso l’uso delle parole è ben evidente.
Per il resto, l’aborto è contemplato dalla legge e qui non dico altro: intelligenti pauca.
Anche nella scrittura possono comparire errori di analfabetismo funzionale a cui assocerei anche analfabetismo emotivo, nel caso specifico. Se non si tratta di questo abbiamo a che fare con una cosa gravissima.
Chi volesse documentarsi sul termine dal punto di vista linguistico, e non solo ché il linguaggio non è mai cosa avulsa dalla vita, può leggere quanto ne dice l'Accademia della Crusca: femminicidio


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